Tempo festivo
Andrea Grillo
Il tempo a due velocità
(…) Il tema del tempo ci permette precisamente di cogliere
il ruolo di una terza dimensione del tempo, quella che la
modernità lentamente ha largamente emarginato, almeno dal
punto di vista strutturale. Se guardiamo all’esperienza del
tempo che fa l’uomo moderno, post-moderno, dell’ultimo
secolo, scopriamo il retrocedere progressivo - sotto la
forza di meccanismi di produzione, divisione del lavoro,
organizzazione sociale - di un’esperienza del tempo
articolata, che viene sostituita da un’esperienza binaria.
In qualche modo, nella modernità e nella post-modernità,
sempre di più facciamo l’esperienza di un tempo a due
velocità: tempo del lavoro/tempo libero.
Armido Rizzi, un uomo di grande valore, teologo,
antropologo, filosofo tra i più lucidi che ci siano in
Italia, ha scritto un librettino magnifico, “Il segreto del
tempo”, dove tra le tante cose dice: risulta dai lavori
antropologici che una delle scoperte del mondo
tardo-moderno è il tempo libero. Nella tradizione non
esiste l’idea di tempo libero. Oggi per noi è la cosa più
normale: se non lavoro, sono nel tempo libero. Ma questa è
un’idea recentissima, che dipende da tanti fattori. Primo,
il fatto che la grande autorevolezza sul tempo è
sostanzialmente quella del lavoro - altra novità.
Resi-dualmente c’è tempo libero. In un certo modo l’inganno
moderno, tardo-moderno è tale per cui ci sembra di essere
arrivati in una società in cui normalmente c’è tempo
libero, e poi ho le 8 ore al giorno di lavoro. Per cui fino
alle 8 e mezza son libero, poi dalle 8 e mezza alle 6 e
mezza sono a lavorare, salvo la pausa dove guadagno magari
un’ora per andare al fast food a mettere giù un panino e
tornare a lavorare, e dalle 6 e mezza fino mezzanotte o le
due sono di nuovo libero. C’è anche da dormire, che è tempo
un po’ meno libero, nel senso che il corpo si prende un po’
di potere e mi rende schiavo del sonno… Più o meno le cose
vanno così.
Ora, questa raffigurazione fa del tempo del lavoro la
ritualità che impone il senso del tempo; e il tempo libero,
residualmente, è la possibilità di scambi familiari,
rapporti sentimentali, divertimento, opera lirica, cinema,
discoteca, corse in macchina, collezioni di francobolli, di
farfalle, e così via. L’hobby.
Studi antropologici sull’hobby,
bellissimi, rivelano come le ritualità hobbystiche siano
quintessenza di un senso del tempo che si mantiene sotto i
naufragi del lavoro e le lande sterminate di un tempo
libero da cui scappi. Uno dei fenomeni patologici più
incredibili di un mondo del genere è che la domenica
diventa un tempo di crisi esistenziale terribile. Non si
vede l’ora di tornare a lavorare.
In un certo senso “Il sabato del villaggio” Leopardi l’ha
già scritto, e siamo nell’800; erano già campanelli
d’allarme. Non è che Leopardi sia fuori dalla modernità, è
già un uomo moderno, e come tutti i poeti vive quasi un
secolo in anticipo. Le patologie che Leopardi viveva un
secolo prima, un secolo dopo sono comuni a tutti gli strati
sociali. Leopardi era figlio di un uomo che aveva una delle
tre biblioteche più ricche del suo tempo. Quando sei figlio
di uno così e hai tutti i libri che vuoi in casa, già nasci
con molto di più e con molto di meno: patisci di
conseguenza. Oggi quasi tutti hanno una bella libreria in
casa e quasi tutti patiscono quello che Leopardi pativa
allora, è a portata di mano di chiunque il senso di
corrosione del tempo, perché fondamentalmente l’esperienza
è binaria: ritualità lavorative - assenza di ritualità. Nel
tempo libero, la ritualità te la scegli tu: le farfalle…
Rahner negli anni ’60 diceva: rispetto al mondo antico noi
siam fatti così. Gli antichi dicevano: il “tempo del
lavoro” è sudore, fatica, esaurimento fisico; il “tempo
della skolé”
è quello del riposo, della ricreazione - stare seduti,
leggere, scrivere... Noi abbiamo capovolto anche questo
valore: stiamo 8 ore seduti in ufficio, pagati per farlo, e
poi appena usciamo saltiamo in bicicletta e scaliamo lo
Stelvio. Per cui lavoriamo sotto forma del tempo libero, e
ci riposiamo sotto forma del lavoro. Ma anche questo fa
parte di contraddizioni interne a un altro modo di pensare
i rapporti tra lavoro e non lavoro. Quello che comunque
rileva nel nostro discorso è che in questo tipo di
esperienza quello che salta e che in qualche modo trova
modo di riesprimersi all’interno del ritmo binario è il
terzo tempo, che ogni tradizione ha sempre conosciuto, cioè
il tempo della festa.
Il terzo tempo, la festa
Il tempo
festivo non rientra né nel tempo del lavoro né nel tempo
libero, e questo per noi è continuamente motivo di
imbarazzo, perché da un certo punto di vista la festa ci
sembra tempo libero, dall’altra sappiamo che non è così. In
parte decidi tu, ma in realtà la festa ti arriva sul collo
come il Natale, è il calendario che dice quando lo è e
quando non lo è. Intanto ti arriva, e magari non proprio
nel giorno in cui saresti incline a far festa. E festa
significa certi tempi, certi luoghi, certi riti, certi modi
di mangiare diversi dagli altri giorni… Ha tutta una serie
di “regole” che assomigliano molto di più al tempo del
lavoro che al tempo libero. Ma non è nemmeno il tempo del
lavoro, perché non ha la logica della produzione: non si
produce niente, anzi si consuma, si spreca, si fa il
contrario di quello che si fa quando si lavora.
Il terzo tempo oggi ci manca proprio da un punto di vista
esperienziale, per cui o lo riduciamo al tempo del lavoro,
o lo riduciamo al tempo libero. Nella festa ridotta a tempo
libero, l’uomo comunque è individuale, perché la differenza
tra tempo libero e tempo del lavoro è che il lavoro
comunque ti obbliga a relazioni - ed è per questo che
scappi dalla domenica per andare già al lunedì, perché sai
che comunque ci sono persone che ti aspettano al di là del
banco in banca, al di là del banco del salumaio, al di là
del computer perché ti devono scrivere, mentre di domenica
non ti scrive nessuno, non ricevi nemmeno la posta
elettronica…
Si ferma il mondo.
Se vissuta da individui, la festa ti ammazza, non
risparmia. La festa uccide i singoli, perché la logica
della festa è di uscire dalla singolarità; della
singolarità hai bisogno per lavorare, ed è un singolo che
si mette in relazione, e poi hai bisogno di quella
ricreazione che non sopporta nessuno, sei stanco morto,
guai se qualcuno ti disturba, giustamente, devi dormire.
Non si vive in quella singolarità, mentre il nostro mondo
pretende che il meglio di te tu lo possa vivere
singolarmente: non si dà, perché tu singolarmente ti
ricordi di non essere consistente. E’ come se noi avessimo
dentro di noi quella cosa che diceva Aristotele, per cui
tu, da solo, nemmeno sai parlare. Ricondotto solo a te
stesso, sei privato di tutte quelle ritualità comunitarie,
relazionali, che ti danno, ti affidano la tua identità.
Ora, la festa strutturalmente è proprio costruita in questo
modo: non è semplicemente un tempo, ma è quel tempo
particolare, ritualmente determinato, incaricato di darti
il senso del tempo. La festa è lì per dirti che il tempo ha
senso, e per questo normalmente ti fa far memoria, cioè ti
ricorda qualcosa. Sei nato, e intanto il tuo compleanno non
lo scegli tu, non si è fatto un referendum per definire
quando nascevi, sei nato un bel giorno del tutto
casualmente, un giorno scelto da una provvidenza divina,
dalla procreazione responsabile dei genitori o quello che
sia, comunque non da te. Scopri che il tuo nome è appunto
quello con cui ti chiamano, è tuo ma non l’hai deciso tu, è
un’altra cosa che ti è stata data, e questo ha bisogno di
un esercizio di memoria, un riferirsi ad un passato da cui
provieni e grazie al quale sei in questo presente che si
apre al futuro.
Nella festa la logica temporale, per cui ho un tempo grazie
agli altri, grazie alle relazioni, è detta ritualmente. Il
rito mi fa fare questa esperienza forte che poi mi fa stare
in piedi, sia lavorando, sia nel tempo libero. Se schiaccio
questo tempo intermedio, che però è anche fondante, su
lavoro/tempo libero, o meglio, sulla “vacanza” (il
linguaggio che si dice convenzionale dice sempre anche la
verità), è terribile, perché “vacanza” vuol dire “vuoto”.
E’ chiaro che è vacanza dal lavoro, per fortuna, vuoto di
lavoro, ma pieno di cosa? Te la vedi tu, fai tu. E su
questo, grazie alla libertà moderna, che dobbiamo benedire
tutti i giorni, cadiamo vittime della libertà, perché la
libertà è anche senza volto. Quando è pensata come vuota, è
vuota. E’ davvero vuota. E riempirla dipende dal carico di
identità che mi danno i riti, i linguaggi, gli elementi
forti, digitali dell’esperienza: e purtroppo queste cose le
attribuiamo molto spesso al mondo del lavoro. Pensate a
quelli che lavorano 8 ore in banca e quando hanno un po’ di
tempo libero fanno le collezioni di monete. Capite come nel
meglio del sé ormai sono plagiati da un’esperienza
lavorativa? Il mondo moderno grazie al lavoro ha compiuto
dei progressi straordinari, ma il lavoro ti dà alla testa.
C’è un’esperienza che racconto sempre, l’ho ascoltata in
televisione. Ahimè, è paradossale, ma a mio parere è
testimonianza di un senso del tempo deprivato della festa.
Un classico, soprattutto in zone di grande produzione, come
la Brianza, di cui si tratta in questo caso. Intervistano
una signora il cui marito era stato vittima di
un’aggressione in casa. I ladri, forse albanesi, avevano
portato via tutti i gioielli e l’avevano picchiato,
fortunatamente senza conseguenze drammatiche. La moglie
dichiarava: “E’ successo proprio a mio marito, che sono 25
anni che non fa una domenica di riposo!”. E’ la logica per
cui l’annullamento della festa diventa il criterio di
maggior diritto di tempo libero: azzerando la festa, hai
più diritto di essere difeso, di essere garantito nella tua
privacy. Questa è un’idea senza futuro, che non ha
speranza, eppure per noi è vissuta come un’evidenza. Ma
guarda, non capita a uno che la domenica andava a farsi dei
giri, no, quello lavorava, e proprio a quello! Eppure
basterebbe leggere un Salmo o un Proverbio della Bibbia per
capire che proprio quello è il destino. La sorte si
accanisce laddove l’accecamento per il lavoro diventa
incapacità di vivere la gratuità, perché far passare un
giorno, come vorrebbero gli ebrei, senza nemmeno guardare
l’orto, significa lasciarti donare di nuovo al tempo. Un
uomo che sa solo lavorare non sa più amare, a lungo andare.
Freud diceva: la maturità è saper amare e lavorare,
lavorare e amare.
Ora, per questo ritmo non basta il binomio “tempo del
lavoro/tempo libero”: in mezzo ci vuole, come fondamento,
un “tempo festivo”, che è un tempo assolutamente rituale,
dove il rito è il rito della fede - del fondamento, della
relazione ultima - sul quale i piccoli e i grandi riti del
lavoro, come i piccoli e i grandi riti del tempo libero,
che hanno la loro forza e la loro delimitazione, non hanno
la potenza di imporsi. E’ vero anche il contrario. Ci sono
riti del tempo libero che sono totalmente sganciati e che
prevalgono addirittura sul tempo del lavoro, finendo per
far saltare l’equilibrio della relazione. Molti dati
antropologici, psicologici e sociologici vengono a
confermare quell’esigenza profonda – a cui tuttavia, io
credo, soltanto l’esperienza di fede, l’esperienza
religiosa può dare soddisfazione. (...)
(Da: A. Grillo,
“La riscoperta del rito come dato della teologia. Il
contributo dell’antropologia per la comprensione
dell’esperienza religiosa”, Fudenji, 25.05. 2002)