Zen Notiziario – Vol. 12, n. 2; 2005
La vera natura della realtà ama nascondersi e restare nascosta, ma il grande corpo non è mai da qui lontano né vicino… a che scopo l’umano ingegno?
“La terra, per quanto grande, mai potrà bastare a seppellire tutti i morti”, è il leitmotiv del film “L’arpa birmana”.
“Tazunuru ni sore dōmoto enzū ikadeka shushō o karan” (Fukanzazengi, Dōgen Zenji): “Tale è la Via in origine piena e perfetta, nella sua strenua ricerca. Come può pretendersi coll’Esercizio ed il Risveglio?
”Una volta morti, da chi e come vorremmo essere sepolti?
Sono in molti a pensare che praticare Zazen e la Sesshin sottragga tempo, attenzione alla propria vita privata, affettiva, professionale, sentimentale, quasi comportasse una rinuncia, un mendicare consenso.
Una volta morti, come e da chi vorremmo essere sepolti?
Sedere in Zazen, praticare le Sesshin inquieta il cuore, non rimuove momentaneamente l’angoscia, il dolore della vita: va alla sua origine, all’origine d’ogni passione, al cuore di questa folle angoscia che nessuna terra di questo e di nessun altro mondo potrà mai coprire.
La terra mai basterà a seppellire tutti i suoi morti. Non basta sedere semplicemente sullo zafu, rassicurati dall’abitudine, né basta assumere una buona o giusta postura. Da chi e come saremo seppelliti?
Profonda, la terra, oscura, nasconde, ricopre e, mentre ama restare nascosta, anima ed illumina la nostra vita. Questo pensiero nasce dietro il pensiero mortale, nasce dal vigore e dalla passione di una postura e da un’intensa corrispondenza di amorosi sensi.
Nella pace e nel momentaneo sollievo, può solo nascere un compiaciuto sforzo candeggiato da un innocente bagno di bontà (bontadine).
Chiunque sieda su uno zafu abbastanza a lungo, con la schiena sufficientemente dritta, il respiro armonioso, rischia un piacevole intorpidimento della coscienza, pervaso da leggeri fumi divini od alcolici. Così in questa nostra pratica, in questa nostra religione si rischia solo di invecchiare felici e in buona salute, perché la tentazione è sempre quella di incominciare dalla vita invece che dalla morte, dal vantaggio invece che dall’oblio, dalla vacanza di sé. E diventa… non posso praticare la Sesshin perché mia moglie, mio marito…i miei amici…il capo ufficio…parto prima…arrivo dopo…ma, da chi e come saremo seppelliti?
Bonpuzen è lo Zazen delle bonnō, dell’autosoddisfazione e non il fukanzazen di Dōgen Zenji.
Zazen è una perdita totale, 10 su 10, perché ricerca di vittoria inumana e sublime, amore folle, forte come la morte e la guerra.
Una volta morti, da chi e come pensiamo di essere seppelliti?
E a nulla vale rifugiarsi nell’istantaneità del qui ed ora, perché non c’è nessun momento eterno che non sia una fuga dal passato e un timore insostenibile per il futuro. Ma futuro e passato è qui che convergono, nell’incipienza di questo istante, nell’insufficienza della terra e nell’impossibilità di dare un’ultima sepoltura ai morti. Da chi saremo sepolti, chi ci coprirà di quella terra che non basta mai?
Il soldato giapponese de “L’arpa birmana” sulla via del ritorno viene richiamato irresistibilmente dalla voce dei morti, da quella muta sapienza che parla di una tradizione molto antica. Non può resistere: dei suoi compagni, quelli che invano l’hanno cercato e atteso, ritorneranno nella patria lontana per ricostruire strade, ponti e giardini. E quelli che, senza arrendersi, sono morti in combattimento, non saranno meno presenti nella ricostruzione della futura patria. Lui, il fuggitivo, capitola di fronte all’oscurità della terra, cedendo ad una volontà inumana ed oscura. È sia morto che vivo: morto per gli amici che però non lo hanno mai sentito così vicino. Vivo per tutti – non più solo per il suo popolo e i suoi compagni – perché mai avrà fine la terra con cui proverà con ogni sforzo a coprire tutti i morti e, morto al mondo, troverà un mondo di amici anche fra l’antico nemico, i nemici per sempre.
Religione significa partire non dalla paura della morte, né da un’ulteriore o successiva possibilità. Il suo mistero non fa mistero. È partire prima di ogni possibilità, prima di sempre, prima di ogni ora, per adeguarsi alle vie singolarmente tortuose, liquide ed oscure, più telluriche che celesti. Il morto non si dà mai tempo: per questo la terra, per quanto grande, mai basterà a ricoprirlo.