Mente e materia confusi. Un mondo di evidenze

Prefazione al catalogo di Giorgio Varani (scultore), 2014

Dio: materia che pensa
(Edgar Allan Poe)

Giorgio Varani vive e lavora ad un passo da una collina, là dove sorge Fudenji, un tempio e un monastero buddhista zen.

Un diverso ma pur sempre laboratorio che ha in comune Silenzio, Concentrazione e Visione. Da quelle parti, nei boschi di quelle colline, dal 1360 e per 26 anni, il Beato Orlando De’ Medici visse asceta votato al silenzio, contemplando di giorno il sole, di notte la luna, immobile, assorto in preghiera, in equilibrio su una gamba sola e vestito di un solo abito.

Ai piedi di quelle dune sabbiose, oggi rivestite di fertile vegetazione, il mare antico, a più riprese, arrivando e ritirandosi, ha saputo lasciare preziosi segni, testimoniati nel museo paleontologico di Salsomaggiore, dovuto a Raffaele Quarantelli (1930 – 2004), salsese, operaio di classe e paleontologo autodidatta…

Da queste parti resiste ancora una dimensione fiabesca che non cede alla tentazione dell’erudizione e allo strapotere del concetto. Resiste quell’esperienza capace di avvertire e vivere emozioni forti, emozioni sapienti, sentimenti densi, ma anche lievi ed impalpabili, forieri di una comunicabilità indiscutibile: pratyaksa, quel che fa o rende evidente, cioè, anubhava, percezione diretta insieme a smrti, ricordo e memoria.

Perché, come faceva opportunamente notare Ananda K. Coomaraswamy “Nelle società normali le necessarie attività della produzione e della costruzione non sono semplici ‘lavori’, ma anche riti, e la poesia e la musica che a questi ‘lavori’ sono associate diventano elementi di una liturgia. I ‘piccoli misteri’ delle arti e dei mestieri sono preparazione naturale ai più grandi ‘misteri del regno dei cieli’”2.

E nel rito e nelle liturgie ritornano a riproporsi le nostre emozioni: quelle dominate da un arcano e fascinoso sentimento creaturale, sentimento di gioia che intenziona una conoscenza emozionale.

Giorgio Varani, debitore di una classe di artigiani-artisti locale, non ha mai mancato di produrre, di dare alla luce, anche nelle forme più inconsuete ed imprevedibili, una tradizione poco appariscente, ma dalle radici profonde, quella di una bellezza oggettiva, quella bellezza che, per quanto celata, torna a riguardarci tutti, prima o dopo.

Dall’artigianato può aver ereditato, consciamente e inconsciamente insieme, i minuscoli accecanti, incandescenti bagni e cordoni di saldatura, una saldatura ben fatta, che ha appreso a ben guardare attraverso la sua maschera da saldatore. Furono, forse, questi fra i suoi primi momenti ispiratori.

E molte delle sinuose linee della sua scultura lasciano indovinare la ricchezza imprevedibile del bagno di fusione di quel metallo… “Io so saldare…” dice “e posso fare cose che altri sono costretti a delegare…”.

E, come sembrava evidente ad un umanesimo che rischia di tramontare per sempre e che per alcuni è definitivamente tramontato, nell’arte tradizionale l’artista non ha bisogno di risultare curioso e stravagante, non è un caso particolare di uomo, ma piuttosto ogni uomo un caso particolare di artista…

La sua pare volgersi ad arte del rinnegare, rigettare totalmente; ad arte del fare un passo ulteriore, un passo in più, oltre la cima di un palo, oltre il margine di un precipizio: un coraggioso salto, sconfinando e librandosi in quello spazio dove la mente, il corpo fanno una sola cosa, un tutt’uno con l’ambiente e con lo Spirito.

E qui ancora, nella forma che si fa vuoto, nel vuoto che si fa forma, è davvero prossimo all’ispirazione zen, rivolto, come sembra il suo sforzo, a quella spoliazione dell’anima che lascia la polvere ritornare alla polvere, consegnandosi alla parola dello Spirito.

Così il vero artigianato, come la vera arte, nascono da e apprendono ad andare oltre l’individuo, verso l’opera delle epoche e delle nazioni.

C’è una libertà nella fatica di esprimersi, di chi fatica a parlare. La libertà di chi parla a fatica, di chi si esprime sulla punta dei polpastrelli ed oltre… quando l’utensile non è ancora amplificazione sconsiderata di pervicaci pretese tecnologiche, ma disciplina che nella sua consumazione si fa evidente e si rivela trapassando costantemente nella libertà. (Per intervento di A. N. Terrin)

“Una retta educazione alla religione comparata…”. (pag. 58 Sapienza Orientale, Cultura Occidentale)

Elevare il pensare e il pensiero al rango di “prova esclusiva di ogni verità, non è mai verificato fra i popoli primitivi”. (pag. 43)



1 Prefazione al catalogo di Giorgio Varani, 2014
2 A. K.Coomaraswamy, Sapienza orientale, cultura occidentale, Rusconi editore, pag. 48