Questo articolo è apparso sul primo numero dello Zen Notiziario nel 1984
Prof. Pietro Trimarchi, professore emerito di diritto civile nell’Università degli Studi di Milano, dov’è stato professore ordinario dal 1967 al 2006. È socio Onorario dell’Istituto Italiano Zen Soto Shobozan Fudenji.
Questo articolo è apparso sul primo numero dello Zen Notiziario nel 1984.
Questo primo numero di “Zen” segue a poca distanza di tempo la costituzione dell’Associazione Zen Italiana, in un periodo di fervore costruttivo, che ha visto l’organizzazione di due grandi sesshin estive e la fondazione di diversi Dojo e gruppi di Zazen.
Di fronte a questi sviluppi vigorosi il pensiero ripercorre questi 15 anni di preparazione latente e ritorna agli inizi. Rivedo la buona e cara immagine del Maestro Deshimaru in una delle sue prime visite a Milano. Aveva lasciato il suo Paese, solo, senza sostegni materiali, per portare in Europa il tesoro di un grande e antico insegnamento, convinto (anche in base agli incoraggiamenti e alle esortazioni del suo Maestro Kōdō Sawaki) della fecondità di un incontro tra gli aspetti migliori della civiltà occidentale, attiva e dinamica, e la grande tradizione umanistica e religiosa del buddismo Zen.
Le difficoltà che egli dovette affrontare furono notevoli. Senza dire di quelle materiali (nei primi tempi Sensei Deshimaru dormiva nel retro di un negozio a Parigi e si manteneva praticando massaggi e agopuntura), vi era quella di trovare i giusti luoghi d’incontro con chi potesse essere interessato all’insegnamento Zen. Sensei era portatore di credenziali importanti nel mondo buddista giapponese, ma prive di significato in Europa, soprattutto 15 anni fa. Inoltre egli veniva ad operare sullo sfondo della confusione che caratterizza in occidente la ricerca spirituale, fra insegnamenti spesso improvvisati o di fantasia, talvolta inutili, talvolta sottilmente pericolosi.
Ma chi ha avuto la fortuna di avvicinarlo non ha sentito il bisogno di credenziali: aveva la forza, la serenità, la bontà, l’intuizione che sono da sempre i segni del Maestro; ed aveva quella capacità di essere presente, comprensivo e partecipe, mantenendo al tempo stesso un’assoluta libertà interiore, che è la ‘“compassione” buddista. La pratica che egli insegnava, severa e senza concessioni a illusioni di qualsiasi tipo, forte e delicata insieme, avrebbe suscitato fiducia anche in chi non avesse saputo che la sua validità è garantita da una tradizione più che bimillenaria.
I primi luoghi dove il Maestro Deshimaru iniziò la diffusione del suo insegnamento furono per lo più delle palestre di arti marziali giapponesi; e io lo incontrai per la prima volta nella palestra milanese di Cesare Barioli, al quale dovrò sempre una profonda gratitudine per l’occasione che mi ha così offerto.
Dello Zen avevo a quel tempo una conoscenza letteraria, principalmente attraverso le opere di Daisetz T. Suzuki e la conoscenza di testi, koan e dipinti Zen, che facevano bensì intuire la freschezza e la vitale spontaneità dell’esperienza Zen; ma non davano alcuna indicazione sulla strada per raggiungerla. Non sospettavo neppure che al centro dello Zen fosse la pratica del corpo e della mente (o meglio: del corpo-mente) nell’immobilità meditativa, e fui sorpreso quando il Maestro Deshimaru, invece di tenerci lunghi discorsi, ci mostrò la posizione di za-zen e ci fece subito iniziare una breve seduta di meditazione; ma l’esperienza fresca ed insolita della meditazione silenziosa mi colpì profondamente lasciandomi un ricordo indelebile.
Negli anni immediatamente successivi il Maestro fece alcune sporadiche visite a Milano, trovando ogni volta un gran numero di nuovi interessati a conoscere lo Zen, e solo un piccolo gruppo di praticanti che continuassero costantemente da un anno all’altro. La lontananza del Maestro sembrava far mancare il sostegno necessario per la costituzione e il consolidamento iniziale di un Dojo capace di un’esistenza stabile ed autonoma. Eppure, il seme era stato gettato, e non era andato perso.
Sensei Deshimaru si era stabilito a Parigi, ritenendo che questa città fosse la sede più adatta per la sua missione, in considerazione della sua posizione centrale, della maggior diffusione della sua lingua, e della sua apertura culturale. La personalità del Maestro, e il valore intrinseco della preziosa tradizione di cui egli era portatore, gli hanno consentito in Francia rapidi progressi: l’allargamento del numero dei discepoli e praticanti, la moltiplicazione dei Dojo, l’attenzione rispettosa della televisione e di una grande stampa capace di trattare con intelligenza questi argomenti, l’adesione all’associazione Zen di grandi personaggi della cultura francese, da Andrè Malraux, scrittore e ministro, all’antropologo Lévi-Strauss, da Von Karajan al coreografo Maurice Béjart a Chaban Delmas, presidente dell’assemblea nazionale, a tanti altri.
Anche conventi cattolici gli aprivano le porte, con lo scopo di sviluppare o recuperare la pratica meditativa, momento essenziale di ogni esperienza religiosa, arricchendola della tecnica Zen. Allo stesso tempo, la generosità dei sostenitori gli consentiva di costituire presso Blois, nella cornice di un ampio parco, un grande centro per la pratica dello Zen (e non sarà fuori di luogo rilevare qui che il Maestro lasciò il retrobottega del negozio Kameo solo per trasferirsi in un minuscolo e spoglio appartamento in un quartiere popolare di Parigi, e ha sempre vissuto in decorosa povertà, destinando esclusivamente alla propria missione tutte le risorse materiali che gli venissero offerte).
E mentre era impegnato in questo poderoso sforzo organizzativo, Egli provvedeva a tradurre e commentare antichi testi Zen mai pubblicati prima in occidente, e scriveva alcuni stupendi saggi sulla pratica e la filosofia dello Zen: 15 libri pubblicati in Francia, e alcuni altri in Giappone, nel corso di 15 anni.
Anche e soprattutto a causa di questo impegno senza sosta, che aveva il proprio centro a Parigi, le visite di Sensei Deshimaru in Italia cessarono a un certo punto. Alcuni discepoli italiani continuarono la pratica da soli, o in piccoli gruppi, cercando qualche contatto con il Maestro nelle sesshin estive o in occasione di visite a Parigi. Alcuni hanno cercato questi contatti con maggiore frequenza e intensità, e fra essi Fausto Guareschi, spinto da una forte vocazione ad affrontare e superare sacrifici e disagi personali, riusciva a mantenersi vicino al Maestro diventandone un discepolo nel quale Egli riponeva la massima fiducia e speranza di continuazione.
Il 30 aprile 1982 Sensei Deshimaru moriva. La notizia improvvisa e inaspettata lasciava attoniti coloro che lo avevano conosciuto ed amato e stentavano ad accettare l’idea di non rivedere mai più la sua figura paterna. Soprattutto a chi si era meno sforzato di praticare e incontrarlo con assiduità, la sua scomparsa suggeriva materia di riflessione sul carattere transeunte di ogni cosa e sulla necessità di non sprecare con rinvii l’occasione unica e irripetibile di praticare la Via qui e ora.
La morte di un maestro è il suo ultimo insegnamento: anche i Maestri muoiono e gli allievi devono continuare la strada da soli; alcuni di essi devono diventare maestri a loro volta: così continua la Grande Tradizione. E questo insegnamento sembra essere stato raccolto: dopo un lungo periodo di preparazione latente, abbiamo visto qui da noi gli sviluppi vigorosi e promettenti che ricordavo in apertura.
Fausto Guareschi ha ricevuto in Giappone, dal Maestro Narita Shuyu, l’investitura di continuatore dell’insegnamento (una vicenda non nuova nello Zen, che a causa dell’improvvisa scomparsa del Maestro diretto, il discepolo ottenga lo shiho da altri: era accaduto lo stesso anche a Sensei Deshimaru, in seguito alla morte del suo maestro Kōdō Sawaki). E anche qui devo dire che, pur indipendentemente da questa certificazione, di cui peraltro conosciamo l’importanza e il significato, noi ritroviamo in Fausto Guareschi le qualità e lo stile di vita di un Maestro Zen. E soprattutto dà motivo di speranza per lo sviluppo dello Zen in Italia osservare che Fausto è affiancato da un gruppo consistente di collaboratori, costanti nella pratica di uno stile di vita Zen e animati da un impegno generoso.
Questo Notiziario Zen vuole essere uno strumento per realizzare una maggiore coesione fra gli associati, rendendo più facile a ciascuno di partecipare alle attività comuni. Praticare lo Zen da soli è possibile: le condizioni in cui si svolgono la nostra vita e le nostre attività costringe molti di noi a ripiegare in parte su questo tipo di pratica. Sappiamo però tutti per esperienza che la meditazione nel Dojo riesce meglio, per qualche inesprimibile ragione.
A parte ciò, procedere da solo implica qualche rischio di deviare dalla giusta strada; e la possibilità più insidiosa è quella di fare della pratica una ricerca compiaciuta e narcisistica del perfezionamento individuale, con la possibile conseguenza che ne risulti accresciuto, anziché ridotto, l’ingombro dell’ego: così facilmente una cosa si può trasformare nel suo contrario. La periodica partecipazione alla pratica in comune elimina questo pericolo. Il Notiziario intende perciò in primo luogo fornire una costante informazione sulle sesshin, sulle giornate di za-zen, sui Dojo e sui gruppi di pratica. Intende anche pubblicare testi che costituiscano un periodico richiamo ai principi di una pratica corretta.
La pubblicazione del Notiziario Zen è resa possibile dall’impegno economico e personale di alcuni praticanti, ai quali va il nostro ringraziamento.