Impregno la carta con l’inchiostro della mia anima

di Irene Veronelli.

Le assi di abete lucido scricchiolavano sotto il frusciare del suo passo e ad ogni rumore molesto un sussulto le increspava la linea violacea delle labbra seguito dal comporsi di una smorfia spaventata sull’incarnato slavato. Probabilmente Pap aveva passato la cera quella mattina, doveva stare attenta a non scivolare. La vestaglia color perla le scivola silenziosa sulle anche creando sottili fruscii con la cascata di riccioli castani che le molleggiavano sonnolenti sulle braccia. Come sempre c’era quella presenza viscerale che le imperlava la fronte di un sudore indecentemente freddo, ingrigendole le conche profonde che le incupivano lo sguardo glauco. Inquietanti ombre alle sue spalle spinte via solo dalla flebile luce tremolante dello stoppino che annegava in un mare incandescente.

Le mani sottili le tremavano rendendole il respiro un caotico garbuglio di battiti focosi al galoppo. Le dolevano le ginocchia e non sarebbe più riuscita a reggersi al legno scuro delle pareti, sudata com’era sarebbe scivolata. Il corridoio verso la libertà non accennava a finire, emettendo gemiti sempre più incalzanti. Non sarebbe rimasta in quel posto un minuto in più… eppure non sapeva niente del mondo esterno, era tutto buio e così spaventoso. Aveva appena svoltato l’angolo che superava la porta chiusa a chiave delle stanze della priora, sentiva lo spiraglio di aria frizzante che le inebriava i polmoni atrofizzati dallo spesso strato di nebbiolina giallognola dal disgustoso olezzo di chiuso e fritto, quando sentì un rumore metallico seguito da un tanfo di ruggine e olio lubrificante.

Le salirono le lacrime agli occhi… che Pap fosse venuto ad aiutarla? Il rumore metallico alle sue spalle cessò, lo sentiva alitarle un vento di acredine tra le ciocche unticce. Si voltò in uno spasmo di gioia, il sorriso che le inondava il volto smunto con una cascata di felicità e la candela si spense. E le ombre la avvilupparono, e il sorriso si screpolava infrangendosi in una smorfia di terrore strozzata dal buio intorno a lei. E mentre lacrime amare le solcavano le gote il pungente profumo di lavanda fuori posto le pizzicava le narici cariche di muco. E un sussurro metallico: “Greta”.